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Amnesia di Gaia Campestato

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Bepi aveva 68 anni e soffriva di amnesia a breve termine, che vuol dire che si dimenticava tutte le cose che aveva detto, fatto e pensato mezz’ora dopo averle dette, fatte e pensate. 

Bepi viveva in un ospedale che teneva in cura le persone come lui, il cui corpo funzionava bene, ma la cui testa ogni tanto andava per aria e chissà quando sarebbe tornata. 

Bepi aveva un amore, un’infermiera del suo reparto, che aveva delle belle sopracciglia folte e scure, e delle guance da bambina che facevano venir voglia di prenderle a pizzichi tanto erano rosee e paffute, nonostante non fosse più giovanissima. Lui la amava, la trovava bellissima e gentile e affettuosa, ma ogni tanto si dimenticava di esserne innamorato. Nel caso di Bepi, ogni tanto significava ogni trenta minuti circa. E quindi lui la amava, la adorava per una mezz’ora, e poi si dimenticava completamente dell’esistenza della sua innamorata, finchè non la intravedeva mentre camminava svelta tra i reparti, o chiacchierava con un paziente, o dava le medicine ad un altro. E quando la vedeva se ne innamorava di nuovo, tutto da capo, senza ricordarsi di averla amata in passato, senza avere la minima idea che fossero 15 anni ormai che la amava ogni giorno. Ogni giorno si svegliava, andava a fare colazione, la vedeva bersi un caffè con le colleghe e pensava che aveva proprio delle sopracciglia incredibili e che avrebbe tanto voluto pettinargliele. Nel mezzo di questa riflessione si scopriva ad amarla, e passava tutto il tempo della colazione a sbirciarla da dietro la brioche. 5 minuti dopo che lei era uscita dalla mensa, lui si era dimenticato di lei. L’innamoramento di Bepi si ripeteva 4, 5 volte al giorno, ogni volta che le loro strade si incrociavano. Tutto il reparto sapeva dell’amore di Bepi, perché ogni qual volta la visione di lei lo colpiva, sempre nuova, sempre travolgente, lui andava a chiedere a tutti i suoi amici chi fosse quella donna dalle sopracciglia così regali, quale fosse il suo nome e cosa ci facesse lì, in quel posto così poco adatto a tanta beltà. Nei 15 anni che Bepi aveva passato all’ospedale, tanti si erano stufati di ascoltare sempre le stesse estasiate dichiarazioni d’amore e di ripetergli sempre le stesse cose, ma non Gianni. 

Gianni si trovava all’ospedale perché, come Bepi, il suo corpo stava bene ma la sua testa ogni tanto no. Gianni aveva una memoria sopraffina, ma era sempre, irrimediabilmente triste. Erano passati anni ormai da quando era stato ammesso all’ospedale, ma la tristezza non gli era mai passata. L’unica cosa che dava un po’ di colore alle sue giornate, erano i discorsi strampalati del suo amico Bepi, che tante volte non si ricordava di lui, ma finiva sempre per chiacchierarci. La meraviglia che Bepi portava negli occhi mentre gli raccontava di come proprio non sapesse come fosse finito lì lo inteneriva, come lo inteneriva il suo amore.  “Scusa, buonuomo” gli diceva Bepi più volte al giorno “Io mi chiamo Bepi, molto piacere, dimmi, non è che mi sai dire chi è quella donna dalle sopracciglia così fiere da parere ali d’aquila?” e Gianni non mancava mai di rispondere “Quella è Rosa, Bepi, fa l’infermiera, ha 40 anni e che io sappia è libera, perché non vai a parlarci?”

Bepi arrossiva sempre un po’, ma poi prendeva coraggio e diceva sarebbe andato a scriverle una lettera dove si presentava e la invitava ad andare a mangiare un gelato in piazza. “Alle donne piace il gelato” diceva Bepi a Gianni facendogli l’occhiolino, un po’ come se gli avesse svelato la dimensione dell’universo in centimetri cubi, e poi si congedava per andare a scrivere la sua lettera. Tempo che trovava carta e penna, e si era già dimenticato di Rosa, della lettera e di Gianni. “Toh, una penna” pensava trovandosela tra le mani, e se la metteva dietro l’orecchio. Ogni sera Gianni si prendeva il compito di togliergli tutte le penne da dietro le orecchie. 

Quel giorno però, le cose andarono diversamente. Avevano appena finito di pranzare, e Bepi si stava avvicinando a Gianni, placidamente seduto su una poltroncina davanti alla televisione, per chiedergli per la seconda volta nell’arco di qualche ora chi fosse quell’angelo che aveva visto seduto in mensa appena qualche tavolo dopo il suo, quando l’infermiera si diresse sicura nella sua direzione, intercettandolo a metà strada.

“Salve!” gli disse lei, allegra “Il suo amico seduto lì mi ha fatto presente l’altro giorno che non ho mai avuto il piacere di fare la sua conoscenza, il che pare incredibile visto che la vedo qui dentro da anni. Cristo, sono quasi certa che lei fosse già qui dentro quando ho iniziato a lavorare in questo posto! Io sono Rosa, comunque, e lei?”

Bepi, disorientato ed imbarazzato si fece silenzioso per un momento. Non voleva che lei lo trovasse strano o indiscreto, ma non riusciva proprio a smettere di fissarle le sopracciglia, così maestose, così boscose!

Quando si riprese, si schiarì la gola, si guardò intorno e poi con un’agilità notevole per un uomo della sua età, si piegò in due, facendole un ampio inchino, che la fece scoppiare a ridere. Lei lo trovò simpatico.

“Signorina!” esclamò Bepi dopo essersi rimesso dritto, la voce limpida da ragazzo che prese di sorpresa l’infermiera, “Lei ha delle sopracciglia magnifiche. Mi permette di portarla a prendere un gelato in piazza?”

Rosa esitò, ma giusto qualche secondo. “La piazza è lontana ed il gelato non mi piace, che ne dice di accompagnarmi a prendere un caffè? C’è un bar delizioso proprio qui vicino”

Bepi rimase interdetto. Credeva che a tutte le donne piacesse il gelato, ma questa certo non era una donna normale. Avrebbe dovuto immaginarlo, non conosceva nessun’altra donna con sopracciglia così. 

Così Bepi acconsentì, e si fece accompagnare da Rosa fino in mensa, dove bevvero ben due caffè a testa, mentre si raccontavano a vicenda. Gianni, guardandoli allontanarsi a braccetto, fece il primo sorriso in molti anni. 

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