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Tra il mento e il collo:

Esattamente in questo punto comincia e poi finisce 

 

Sarà che oggi ho visto Picasso.

Sarà che contemplo solo forme pure.

Sarà che sono in un viaggio intergalattico di celeste, blu cobalto e ceruleo.

 

Il vero viaggiatore parte per andare e basta: mente e cuore leggeri come palloncini che prendono il volo 

e si lasciano andare. Sempre più in su.

Perpendicolare alla linea dell’orizzonte. Verso l’infinito.

Un buon viaggiatore non ha piani precisi, il suo scopo non è arrivare. Ricominciare ogni giorno.

Perché non mi basta mai la voce interiore che mi dice di cambiare.

Non mi basto mai io.

Non mi bastano mai le cose che ho e delle quali vorrei liberarmi.

Non mi bastano i complimenti, i pianti senza motivo, le soddisfazioni,

i fallimenti, le euforie improvvise, gli abbracci profondi, le delusioni atroci.

Non mi basta mai niente.

Mi sono rimaste soltanto le lacrime che scendono sulla guancia,

fino alla mascella, tra il mento e il collo.

 

Poi fare finta di nulla.

Lasciarsi andare alla ricerca di appagamento come una sorta di caccia

ai momenti felici. Senza riflettere.

Un viaggio verso una direzione autodistruttiva.

Che si consuma come una folata di vento d’autunno.

Sprofondando. Lentamente.

Ma la ricerca di situazioni piacevoli è troppo forte e troppo necessaria 

per essere interrotta. Portarla all’estremo, fino a giungere di nuovo allo sconforto.

In bilico tra una delusione e l’altra.

Costruirsi una gabbia dalle sbarre d’oro, confortevole e impenetrabile, 

non è la soluzione.  I dubbi, le ascese e le ricadute sono una costante di ogni singolo giorno vissuto.

Le cose belle sono lente.

 

Esposizione.

Reazioni primarie. 

Vulnerabilità estesa. 

Energia mobile.

Nessun finale prestabilito. 

Nessuna replica.

 

Il trucco sbiadito si trasforma lentamente in lacrime colorate.

Guardavo il mondo attraverso un filtro, “drammatico toni freddi”, 

che improvvisamente veniva reimpostato su “originale”.

Forse mi stavo liberando da tutte le contaminazioni esterne e 

trovando ordine nel mio caos.

Essere, esistere, stare, trovarsi.

Avevo trovato il mio locus amoenus. 

Piacevole, idealizzato, utopico.

Aveva qualcosa di familiare.

Mi sono fermata per un po’ a fissarlo, senza fretta.

Era proprio lì, immobile, di fronte a me.

Fatto di purezza.

 

Un azzurro senza fine in contrasto armonico con il bianco accecante delle pareti. Una luce perfetta si fondeva con il colore creando un gioco di ombre.

Poi si perdeva tra le curve dei drappeggi.

Ricerco la bellezza anche dove apparentemente non c’è.

La cerco nei dettagli, nelle sfumature, nelle cuciture, nella gentilezza dei modi, nello stile classico e rivoluzionario.

Senza tempo.

Avevo trovato la mia dimensione.

Avevo trovato la mia bolla.

Era di un’insostenibile leggerezza.

Sembrava fluttuare come una medusa attratta dal campo magnetico terrestre, consapevole della propria identità e non una semplice creatura che si lascia trasportare inerme dalle correnti.

Avrei voluto farmi avvolgere dai suoi tentacoli, inconsapevole di ciò che sarebbe potuto capitarmi.

 

Abbracciami.

Avvolgimi.

Stringimi.

Portami con te.

Svelami cosa si nasconde al centro, esattamente nella parte centrale anteriore,

sotto quell’insieme di frange blu che sembrano un raggruppamento di alghe marine. Sembra quasi una spirale composta da due forme circolari, concentriche.

Se conto bene mi accorgo che sono quattro.

Ma l’involucro resta sempre uno.

Uno come l’universo.

Lui è l’universo, fatto di molecole oltre le nuvole.

Il mio universo, che mi porta via leggera in un solo momento.

È quella luce che si distingue dalle altre, la prima che ti salta agli occhi.

È argento fra le stelle.

Voglio seguire fino in fondo quella luce per trovare la bellezza.

 

Una bellezza non convenzionale, non scontata. Soggettiva.

Probabilmente soltanto un pensatore solitario può comprenderla.

Può sentire tutta la sua energia.

Ci si può immergere. E anche nascondere.

È in un viaggio intergalattico di celeste, blu cobalto e ceruleo.

Un percorso dove le proporzioni vengono alterate.

Dipende tutto dal tuo punto di vista: dal modo in cui le guardi, le osservi, le fissi, le studi. Non esiste una composizione perfetta e coerente.

Ma coerente per chi?

Esiste la tua composizione.

Il tuo ordine è il tuo disordine.

La missione è trovarvi al suo interno un complice.

Un rifugio sicuro.

E lui lo è.

Ti protegge da eventuali corpi esterni.

Ti avvolge quasi completamente.

Sempre più in su.

Tra il mento e il collo.

Non ti limita nei movimenti, vuole solo proteggerti.

Ha la capacità straordinaria di giocare con i volumi.

Studiarli, modificarli, stravolgerli, contemplando sempre forme pure.

Volume.

Sei lettere compongono questa parola proprio come i suoi sei significati, tutti correlati tra loro. Come la quantità indeterminata di uno spazio.

Come la pienezza della forma di un’architettura o di una scultura.

Come un libro, sia come opera a se stante che come una parte di esso.

Come l’intensità del suono, che si può regolare, abbassare e alzare.

Come l’estensione dello spazio a tre dimensioni in geometria.

Come il volume specifico, il rapporto intercorrente tra il volume occupato da una massa e la massa stessa.

Ogni declinazione diventa un’esperienza da vivere.

Vivile nell’eternità.

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Francesca Marinelli

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