top of page

Resta lì dove sei di Claudia Busto

 

Ric fumava l’ultima sigaretta della giornata affacciato al balcone. Gli piaceva andare a letto con la luna negli occhi. Era sola e distante come lui la luna. Guardarla li faceva sentire soli insieme. Gli era stato chiesto di crescere troppo in fretta, figlio di un padre senza nome, figlio di una madre irrequieta.

Ora che il diploma era vicino si chiedeva cosa sarebbe stato di lui.

Non si era mai posto quella domanda prima ma da quando aveva conosciuto Harin tutto era cambiato, le sue domande erano cambiate.

Harin era arrivata in classe un giorno freddo di febbraio, con gli stivali ai piedi sporchi di neve e le guance arrossate dal freddo. I suoi si erano trasferiti a Strathroy per lavoro e lei si era ritrovata a metà anno in una scuola nuova. Non le era pesato lasciare amici e conoscenti, forse lì poteva smettere di essere chi era e ricominciare da capo.

Ric aveva notato il suo accento particolare e il suo modo strano di disporre gli oggetti sul banco. Ogni

mattina Harin entrava in classe e sistemava il suo banco come fosse una tela da colorare, da dipingere

ogni giorno a nuovo, sempre nello stesso identico modo. Le matite temperate in alto a destra in

orizzontale con la punta rivolta all’esterno, sotto le penne in ordine blu, nera e rossa, sotto ancora

gomma e temperino. In alto a sinistra gli evidenziatori con la punta rivolta all’interno in ordine

arancione, giallo, verde. Sotto quelli c’erano le penne colorate in ordine rosa, rossa, viola e in alto al

centro il diario con il bordo rivolto all’esterno. Ogni quaderno aveva dei divisori, tutti uguali, in ordine

giallo, blu e verde e ogni divisorio aveva le sue etichette in ordine alfabetico.

Ric e Harin si erano conosciuti quando lui aveva deciso di sconvolgere gli equilibri di lei andando a

finire per sbaglio contro il suo banco. Harin aveva visto il suo ordine trascinato via dalla disattenzione

di lui, che si era limitato a un ‘oh, scusa’, senza neanche guardarla in faccia. Se si fosse girato avrebbe

colto il panico negli occhi di lei, quello che raggiunge chi ha poche certezze nella vita ma quelle, quelle

benedette certezze, non gliele puoi spostare così.

Harin aveva cominciato a tremare come una foglia, sapeva che la sua prima crisi di panico in quella

classe era vicina e da quel momento sarebbe tornata ad essere ‘quella strana’. Aveva il respiro corto, le

mani le tremavano, la sua compagna di banco le diceva con tono ironico di calmarsi e quello la faceva

agitare ancora di più. Il resto della classe se ne era accorto e anche Ric. Mentre tutti bisbigliavano e

qualcuno rideva di lei Ric si era avvicinato al suo banco. Sentiva qualcosa che non aveva mai provato

prima, tenerezza per un altro essere umano. Neanche per sua mamma, abbandonata alla vita e ai suoi

momenti di folle ribellione, aveva mai provato niente del genere. Gli era venuto l’istinto di chiedere a

quegli idioti dei suoi compagni di uscire dalla classe.

Lo fecero.

Ric era uno che contava nella scuola, uno che veniva ascoltato, spesso temuto. Rimasto da solo con

Harin l’aveva aiutata a raccogliere le penne a terra, chiedendole di riordinarle. Poi aveva tirato fuori il

cellulare dalla tasca e aveva fatto una foto al banco.

R: Ecco, così se devo aiutarti la prossima volta so come sistemare le cose.

H: La prossima volta?

R: Senti magari non sarò io ma ricapiterà che ti faranno cadere qualcosa e non sarà un caso. Lo capisci?

H: Si…

R: Lo faranno per il gusto di vedere se dai fuori di testa come ora, e perché si annoiano, e perché sono

dei cretini..

H: Si, ho capito.

 

R: Posso sapere come mai ti agiti tanto?

H: Io…ho bisogno del mio ordine…

R: Quando vuoi passare da me, ne ho di cose da farti ordinare!

H: Il mio ordine mi occupa già molto tempo.

R: Si me ne sono accorto.

H: Che intendi…

R: Una mattina per gioco ti ho cronometrato, ci metti più o meno 6 minuti ad apparecchiare il tuo

banco.

H: Ah…

R: Bè dai ero curioso, di solito non cronometro la gente tranquilla.

H: Ok…allora grazie…

R: Di nulla, fai un bel respiro, ora faccio rientrare i cretini che arriva quella di fisica. Fai finta di

allacciarti una scarpa e disinvolta.

Scarpa, disinvolta. Ecco cosa si ripeteva Harin in testa mentre i suoi compagni rientravano in classe. Si

sentiva gli occhi di tutti addosso, voleva sprofondare.

Si era ricordata il primo consiglio: respira.

Respira, scarpa, disinvolta. Cominciava a stare meglio. Intanto la Prof di fisica era entrata e l’attenzione della classe non era più su di lei.

A casa Harin aveva passato tutto il pomeriggio a pensare a quello che era successo. Da dove era uscito

Ric? Non sembrava uno disposto a soccorrere gli altri. Se ne fregava di tutto, rispondeva male ai professori e non aveva stretto amicizie particolari con nessuno in quella classe. Era uno al di sopra di tutti eppure si era abbassato ad aiutare lei. Si sentiva profondamente stupida per quella reazione incontrollata. Voleva fare qualcosa. Se avesse continuato così anche in quella classe sarebbero ricominciati gli insulti, le prese in giro e tutto sarebbe tornato come prima.

Harin non lo voleva ma da sola non poteva. Da sola era troppo.

Quando due anime solitarie diventano complici si crea qualcosa di inaspettato e mistico, come le scintille che fa il fuoco prima di divampare.

Harin aveva raccolto tutto il coraggio che aveva nascosto nei suoi angoli di cuore e una mattina aveva chiesto a Ric di vedersi dopo scuola.

Ric aveva accettato senza pensarci. Una persona valeva l’altra per lui, solo o in compagnia era lo stesso. L’unica cosa che capiva era l’immenso sforzo che aveva fatto Harin ad invitarlo, quindi gli sembrava giusto dire di si.

Si trovarono al bar vicino al parco della scuola. Lui le aveva chiesto se voleva un gelato ma lei aveva rifiutato.

R: Peggio per te.

H: Non ne ho voglia, ti ringrazio.

R: Ok, per me cioccolato, torrone e pistacchio. Dai, sbrigati.

H: Dove stai andando?

R: E’ la migliore, i nanerottoli lo sanno.

H: Rubi l’altalena ai bambini? Non ti vergogni?

R: Ho cose peggiori di cui vergognarmi. Vuoi saperle?

H: No, grazie, risparmiamele.

Harin non si ricordava l’ultima volta che era stata così libera, coi pensieri sparsi, col pensiero su di lui. Ric, così scomposto, così superiore a tutto.

 

Cominciavano a raggiungerli dei nuvoloni scuri e si spostarono verso casa di lei. Per strada era esploso il temporale e si erano ritrovati a correre sotto la pioggia per raggiungere la veranda di casa di Harin e ripararsi. La mamma di Harin aveva sentito dei rumori fuori, delle risate. Non sentiva la risata di sua figlia da tanto tempo. Si era goduta quel momento per alcuni secondi e poi aveva invitato i ragazzi a entrare. I due erano andati in camera di lei aspettando qualcosa di caldo da bere che la madre stava

preparando.

R: E’ tutto così…

H: Si lo so…

R: Ho quasi paura a respirare.

H: Se non sei a tuo agio possiamo andare nel salone.

R: No, cioè, assurdo, non c’è una cosa fuori posto.

H: Bè una si…

R: Cioè…

H: Io…Questa camera è perfettamente ordinata vista da fuori ma con me dentro è il caos.

R: Ok, ferma cosi. Aspetta, alza un po’ il braccio, piega la testa, sposta un po’ la gamba. Ecco, ora sei

perfettamente inserita nel tutto. Ferma! Non respirare, non muoverti! Rovini la mia opera d’arte! Nel frattempo era entrata in camera la mamma di Harin portando da bere e da mangiare.

R: Grazie signora. Ehi! Ferma lì dove sei! Ti ho visto!

La madre di lei era uscita dalla stanza perplessa e divertita. Aveva fotografato quel momento con gli occhi e lo aveva chiuso nel suo cuore.

H: Io ho fame, almeno passami un biscotto.

R: Ti passo un biscotto se mi lasci spostare qualcosa in questa stanza.

H: Ok..puoi spostare il tappeto.

R: Bene, ecco il tuo biscotto, ferma lì signorina!

H: Cosa sono il tuo cane da addestrare?

R: Ok…forse ho esagerato. Promettimi che ogni giorno posso venire qua a spostarti qualcosa e tu ferma immobile!

H: Ogni giorno?

R: Bè io prendo seriamente i miei compiti, e anche i biscotti. Ti faccio una foto così so come sistemarti quando ne avrò bisogno.

Ric era passato ogni pomeriggio da casa di Harin, anche quando aveva da fare, anche solo cinque minuti. Guardava la foto, posizionava Harin nella stanza e spostava una cosa in più ogni giorno. Poi scendeva in cucina, rubava un biscotto e se ne tornava alla sua vita.

Senza accorgersene si stavano cambiando a vicenda. Ric sentiva per la prima volta di essere utile a qualcuno e non solo a se stesso. Harin aveva capito che le cose intorno a lei sarebbero cambiate anche senza il suo permesso. Cominciava a essere più flessibile, le costava una fatica immensa ma si sentiva viva come una pianta bagnata dalla pioggia dopo mesi di sole. Ric era il temporale che le aveva ridato vita. Voleva fare qualcosa per lui ma non era sicura che avrebbe apprezzato.

Un pomeriggio di primavera Harin era arrivata al parco con un quaderno in mano.

R: Che roba è?

 

H: L’unica cosa che non sei riuscito a spostare in camera mia.

R: Dove lo avevi? Nelle mutande?

H: Smettila! Non importa. Vorrei che lo avessi tu. Qui dentro scrivo da sempre la disposizione delle cose che devo ordinare. Mi mette tranquillità farlo.

R: Vediamo…e perché dal 9 marzo hai smesso?

H: Dal 9 marzo tutto è cambiato. Tutto si è fermato come in una bolla, per poi ripartire di nuovo. Io sono ripartita di nuovo, diversa, cambiata, grazie a te.

R: Io ho cambiato le cose intorno a te…

H: Mentre cambiavi quelle cambiavo anche io. Non so come dirti grazie. Voglio che tenga tu questo quaderno e che cominci a scriverci. Io forse devo accettare che un po’ di caos faccia parte di me, tu invece hai bisogno di fare un po’ di ordine.

R: Ok, ma non assicuro niente.

H: Ok…fermo. Resta lì dove sei. Voglio farti una foto per ricordarti da dove sei partito, nel caso ne avessi bisogno.

Quando due anime solitarie si incontrano qualcosa di inaspettato succede. Ric non aveva più bisogno della compagnia della luna per sentirsi meno solo. Harin aveva riempito i suoi giorni e lui riempiva le pagine del suo quaderno. Lei aveva accettato di essere ordine e caos insieme.

Da fermo ti accorgi come girano le cose e che anche il caos fa parte di te, in questa complicata giostra

della vita.

logo ok-01 (1).jpg
bottom of page