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Ninna nanna notturna racconto in frammenti di Valentina Confuorto

​

Cumulonembi

 

Fanciulla fatata, Amarillide, vagavi nel bosco sperando torrone e pane di zucchero, vagavi vagavi, e nulla trovavi.

Ti dilettavi così, fanciulla fuggente, a mirar scoiattoli e lepri, a seguir falene e folaghe, a staccare dai rami ribes e more, vagavi vagavi, e ti dilettavi.

Conversavi con fate e folletti, spiavi gli gnomi e gli dei, guardavi, toccavi, gustavi, sentivi, dormivi; cantavi cantavi, e a nulla pensavi.

Correvi lungo il ruscello per scendere prima dell’acqua, correvi sotto la pioggia per sentirti bagnate le guance, urlavi ai tuoni di starsene zitti, saltavi tra i lampi per non farti colpire; cercavi la casa del vento per andarlo a trovare e per fargli capire che era bello giocare, e cantare, e fischiare, e volare. Cantavi, correvi, e intanto volavi.

Volevi trovare la musica per l’arcobaleno, per farlo tornare e giocare con lui. Cercavi tra anfratti e spelonche la casa di Pegaso, per poter cavalcare sulle onde del mare e sull’arcobaleno. 

Volevi, cercavi, e intanto sognavi. 

Non sapevi, non pensavi, ma cercavi, cercavi.

Non credevi di trovare quella sera gravida di tempesta un motivo per cambiare.

 

Era lì, fragile e bello, a combattere il vento e ad ammaliare te.


 

Narcissus

 

La sua corona sembrava salutarti, ti invitava con inchini e moine, ti tentava col giallo e l’arancio, sembrava invocarti, pregarti, prostrarsi ai tuoi piedi.

 

“Vieni, Amarillide, vieni con me, voliamo insieme nell’etere, annulliamo il resto del mondo, vieni con me in un sogno profondo, voliamo, voliamo, inebriamoci d’etere.”

 

E tu, fanciulla fragile e bella, inseguisti i suoi suoni suadenti, la sua voce veloce, il suo odore ingannatore. Gli ronzasti un po’ attorno, lo guardasti incantata, passettin passettino fosti da lui.

Cosa fai, Amarillide, lui ti vuole ingannare! Il tuo viso virgineo vuol profanare, non andar, non andare! Fanciulla infelice, fuggi, su, fuggi, ché ti vuol circuire, ti vuol velenare. Amarillide, no! Corri, più presto, corri veloce, corri dal vento, corri al ruscello. Amarillide!

No, torni a lui, perché giri intorno, diritto, diritto, non far girotondo. Amarillide!

 

Giaci bocconi, cinereo il tuo viso; cercavi l’amore, lo sai solo adesso che cosa cercavi. L’odore del suo perigonio imbutiforme ti rintrona.

Perché sei lì, perché?

Si nutre di te, e non sai fuggire, puoi solo provare ad andare via per un po’, dovrai ritornare. 

A piccole dosi il veleno mortifero si insedia in te, piccola amante, triste Amarillide. 

Non canti, non danzi, non ridi, non voli, non cerchi, non brami. Ami? Tu credi, ma lenta scompari, lenta la morte si nutre di te. 

Subdolo fiore, ti ruba la vita, ti illude d’amore, ti lascia ferita e non si cura di te!

Veleno, veleno, volare, volare.

Stanca Amarillide, vuoi solo dormire, fatichi a sperare, assapori l’eterno nulla con l’amaro negli occhi.

E’ duro guardarti galleggiare sul lago e vederti vuota e sconfitta, dolore è sentirti bruciare, ma inerte e incapace d’agire.

Vorresti tornare con Pegaso sull’arcobaleno, ci provi, ma sempre ritorni al mortifero amante. 

Finché un giorno, più stanca che mai t’addormenterai sulle rive del lago a sognare la vita, aspettando la morte, e le liete libellule ti faran girotondo sul far della sera.


 

Venere

 

Dolce Amarillide, cerchi riposo dal mal della vita sulle sponde del lago, fuggente sei inseguita da fantasime e dolori, vorresti abbandonarti al tuo volere, ma sei incatenata a quel fiore.

Eppure hai la chiave, Amarillide, perché non la prendi e ti liberi? Perché non esterni il coraggio che hai? 

La tua fede è distrutta, la tua luce si è spenta. Non ti poni domande, ma vai avanti, vai avanti.

Desideri quasi il veleno, ormai affatturata del tutto, perché ti lenisce la pena, perché adesso per te esistere vuol dire soffrire.

  Amarillide, Amarillide, vai ancora da lui, ma…lui non c’è più, ti ha tradito per l’ultima volta. 

Che fai? Che senti? Sei triste, felice, gioiosa, scontenta? Non sai, non sai ancora, tutto è nuovo, tutto è vuoto. Sì dormi, ancor dormi, e non vedi, e non vivi.

 

E una sera pioveva pioveva, e tu erravi nel bosco, smarrita, timorosa, scontrosa, finita. Sedesti su un sasso e piangesti, così, mestamente e lenta. Facevi fuggire gli gnomi e le fate, guardavi le foglie cadere e le lepri scappare. Piangevi e guardavi, ma niente speravi.

Un lupo ti venne vicino. Paura? timore? un lieve tremore? 

Si siede vicino e ti guarda, sorride e poi se ne va. E dormi bagnata e confusa, e sogni le lucciole e il lupo. 

Il dì passa freddo e piovoso, la sera ancor giunge. E giunge anche il lupo. Stavolta ti viene ancor più vicino, ti annusa, ti sfiora, carezza i tuoi occhi col suo sguardo di luna. 

La chiave, Amarillide, la chiave!

Il lupo col muso ti indica il sito ov’essa è riposta.

Lento carezza il tuo cuore, lo nutre di vita, lo scalda d’amore. 

Chiusa da dentro era la porta che ti apriva alla vita.

Gioisci, Amarillide! Conosci la vita, conosci l’amore, conosci le porte, conosci le chiavi.

Rivedi i folletti e le fate, rincorri le lepri e i ruscelli, ma pur sai uscire dal bosco, assieme al tuo lupo fedele, e affronti ianare e selvaggi, e cerchi il tuo posto nel mondo.

Allegra, Amarillide, se non sei capita da tutti, puoi sempre allunare col lupo, viaggiare per regni incantati, danzare sfidando la pioggia, volare sull’arcobaleno. 

Hai tutta la vita davanti, hai tutto l’amore del mondo. 

Vivi, grida, ama, ama.

Di giorno in giorno, di ora in ora cresce il tuo amore; vi aspettano magiche notti, fantastiche ore.

Lui ti darà il sole, la luna e tutte le stelle per vederti felice, sognare, volare.

E tu, sul far della sera, t’abbandonerai nelle sue braccia di culla, sognando la luna, vivendo l’amore, celeste Amarillide, fatata fanciulla.

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